Mi sto rendendo conto in questi giorni che, quando si parla
con chi ha poca dimestichezza con l’Opera lirica, della gestione dei teatri a
questa dedicati, si viene trattati come eccentrici che chiedano soldi per
soddisfare i propri capricci a spese della collettività. Ormai quasi tutti
hanno compreso che l’opera è uno spettacolo costoso che non si mantiene con gli
incassi in nessuna parte del mondo. Ai più sfugge che in analoga situazione ci
sono quasi tutti i Musei e le Biblioteche, ad esempio, ma nessuno, giustamente,
ne chiede la chiusura né la trasformazione in parcheggi, ipotesi che invece
“tira” molto quando si tratta di teatri d’Opera. La soluzione che il profano,
una volta convintosi, seppur a malincuore, della necessità di mantenere aperti
questi centri di eccellenza artistica italiana (che lui più sinteticamente
tende a definire “baracconi”), propugna per prima è quella del taglio dei
costi, partendo dal principale, quello del personale. Qui, sembra impossibile,
ma bisogna fargli capire che, se il repertorio è quello, i musicisti per
suonarlo e cantarlo servono tutti. Generalmente aiuta a convincere l’interlocutore
scettico qualche esempio al limite dell’idiota, tipo, “hai mai pensato di
risparmiare comprando solo una scarpa sinistra?”. Ammesso che si convinca sui musicisti,
il procedimento va ripetuto con gli impiegati e le maestranze tecniche, magari
ricordandogli che in scena si va se c’è qualcuno che alza il sipario, illumina
il palcoscenico, cambia le scene, prenota i posti, riscalda o raffredda gli
ambienti, fa manutenzione, fa programmazione, informa la gente… Insomma fa
quelle cose che servono a tutte le aziende normali per funzionare. La parolina
magica è questa: funzionare. Perché chi non conosce il teatro, nello specifico
il nostro Carlo Felice, non sa che quando tutto funziona, col personale
necessario che fa il lavoro per cui è pagato, succede persino che la sala si
riempia e non solo con i titoli di tradizione. Senza andare troppo indietro nel
tempo, nel 2000 un’Opera del ‘900 obiettivamente difficile come Morte a
Venezia di Britten vinse il Premio Abbiati (che è quello della critica
specializzata, mica balle) ed ebbe tanto successo da essere comprato da Firenze
e Venezia (a Venezia hanno anche prodotto il DVD perché sono più furbi,
evidentemente, visto che l’allestimento di Pizzi era nostro). Nel 2007 ricordo
lo splendido Giulio Cesare di Hendel, sulla carta un opera ostica dei primi del
‘700, che riscosse un successo insospettato quanto strepitoso di pubblico e di
critica, mentre la scorsa stagione, per tornare al contemporaneo, male ha fatto
che si è persa la spettacolare lettura di Gershwin fatta dalla nostra orchestra
sotto la direzione di quel grande genio musicale di Wayne Marshall, che ha
coinvolto la sala come non ricordavo da anni. Se queste cose la cosiddetta
“gente comune” (ma pure qualche addetto ai lavori…) le conoscesse meglio,
capirebbe che quando lo spettacolo è di qualità e la gente si diverte e il
passa parola riempie la sala, la Musica non necessita più dell’elemosina di chi
“lavora sul serio”, la Musica può e deve attrarre sponsor dall’Italia e
dall’estero senza vergogna e rimettere insieme quel volano produttivo e
virtuoso che è nato in Italia, per giunta, ed è la forma più spettacolare di
Cultura, quella del Melodramma. La nostra Cultura.
Caro signor Arduino, la parola magica è "normale", e pure quotidiano, feriale. La ringrazio per le sue ben meditate parole, fa piacere sapere che esiste chi capisce e restituisce concetti che - seppur normali, appunto - con difficoltà vengono recepiti e con difficoltà, o addirittura imbarazzo, vengono divulgati. La bellezza, a volte, costa, ma è cosa quotidiana e necessaria, non un dolce costoso da permettersi solo quando si è magri e facoltosi, e solo la domenica. E' la cultura dell'evento e dell'eccezione, che purtroppo influenza anche chi di Cultura, quella vera, vive. Sogno una società dove anche chi di Musica e Teatro immediatamente non si interessa sia in grado di capire il valore e l'importanza di un'Opera ben rappresentata e sia disposto ad accettarne il costo come cosa giusta e indispensabile. Le sue parole sono, in questo senso, utili e dignitose.
RispondiEliminaMarino Lagomarsino