mercoledì 7 agosto 2013

Quando ti dicono: "Dimmi un po', a te che piace l'Opera...


Mi sto rendendo conto in questi giorni che, quando si parla con chi ha poca dimestichezza con l’Opera lirica, della gestione dei teatri a questa dedicati, si viene trattati come eccentrici che chiedano soldi per soddisfare i propri capricci a spese della collettività. Ormai quasi tutti hanno compreso che l’opera è uno spettacolo costoso che non si mantiene con gli incassi in nessuna parte del mondo. Ai più sfugge che in analoga situazione ci sono quasi tutti i Musei e le Biblioteche, ad esempio, ma nessuno, giustamente, ne chiede la chiusura né la trasformazione in parcheggi, ipotesi che invece “tira” molto quando si tratta di teatri d’Opera. La soluzione che il profano, una volta convintosi, seppur a malincuore, della necessità di mantenere aperti questi centri di eccellenza artistica italiana (che lui più sinteticamente tende a definire “baracconi”), propugna per prima è quella del taglio dei costi, partendo dal principale, quello del personale. Qui, sembra impossibile, ma bisogna fargli capire che, se il repertorio è quello, i musicisti per suonarlo e cantarlo servono tutti. Generalmente aiuta a convincere l’interlocutore scettico qualche esempio al limite dell’idiota, tipo, “hai mai pensato di risparmiare comprando solo una scarpa sinistra?”. Ammesso che si convinca sui musicisti, il procedimento va ripetuto con gli impiegati e le maestranze tecniche, magari ricordandogli che in scena si va se c’è qualcuno che alza il sipario, illumina il palcoscenico, cambia le scene, prenota i posti, riscalda o raffredda gli ambienti, fa manutenzione, fa programmazione, informa la gente… Insomma fa quelle cose che servono a tutte le aziende normali per funzionare. La parolina magica è questa: funzionare. Perché chi non conosce il teatro, nello specifico il nostro Carlo Felice, non sa che quando tutto funziona, col personale necessario che fa il lavoro per cui è pagato, succede persino che la sala si riempia e non solo con i titoli di tradizione. Senza andare troppo indietro nel tempo, nel 2000 un’Opera del ‘900 obiettivamente difficile come Morte a Venezia di Britten vinse il Premio Abbiati (che è quello della critica specializzata, mica balle) ed ebbe tanto successo da essere comprato da Firenze e Venezia (a Venezia hanno anche prodotto il DVD perché sono più furbi, evidentemente, visto che l’allestimento di Pizzi era nostro). Nel 2007 ricordo lo splendido Giulio Cesare di Hendel, sulla carta un opera ostica dei primi del ‘700, che riscosse un successo insospettato quanto strepitoso di pubblico e di critica, mentre la scorsa stagione, per tornare al contemporaneo, male ha fatto che si è persa la spettacolare lettura di Gershwin fatta dalla nostra orchestra sotto la direzione di quel grande genio musicale di Wayne Marshall, che ha coinvolto la sala come non ricordavo da anni. Se queste cose la cosiddetta “gente comune” (ma pure qualche addetto ai lavori…) le conoscesse meglio, capirebbe che quando lo spettacolo è di qualità e la gente si diverte e il passa parola riempie la sala, la Musica non necessita più dell’elemosina di chi “lavora sul serio”, la Musica può e deve attrarre sponsor dall’Italia e dall’estero senza vergogna e rimettere insieme quel volano produttivo e virtuoso che è nato in Italia, per giunta, ed è la forma più spettacolare di Cultura, quella del Melodramma. La nostra Cultura.

1 commento:

  1. Caro signor Arduino, la parola magica è "normale", e pure quotidiano, feriale. La ringrazio per le sue ben meditate parole, fa piacere sapere che esiste chi capisce e restituisce concetti che - seppur normali, appunto - con difficoltà vengono recepiti e con difficoltà, o addirittura imbarazzo, vengono divulgati. La bellezza, a volte, costa, ma è cosa quotidiana e necessaria, non un dolce costoso da permettersi solo quando si è magri e facoltosi, e solo la domenica. E' la cultura dell'evento e dell'eccezione, che purtroppo influenza anche chi di Cultura, quella vera, vive. Sogno una società dove anche chi di Musica e Teatro immediatamente non si interessa sia in grado di capire il valore e l'importanza di un'Opera ben rappresentata e sia disposto ad accettarne il costo come cosa giusta e indispensabile. Le sue parole sono, in questo senso, utili e dignitose.

    Marino Lagomarsino

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