Consigli spiccioli per affrontare il Billy Budd di Britten senza timore.
(da un mio articolo del 2005)
Billy
Budd, sesta opera di
Benjamin Britten, fu composta in circa un anno, dall’inverno del ’50
all’autunno del ’51, e segna il ritorno di Britten alla grande opera, tipo Peter
Grimes, con un’orchestra completa e un vasto impianto scenico e
spettacolare dopo le tre opere precedenti, The rape of Lucretia, Albert
Herring e The Little Sweep, che erano state concepite per “piccole
orchestre” e con arrangiamenti quasi di tipo quasi cameristico.
Analizzare
le scelta stilistico-musicali di un opera come questa è estremamente difficile perché
siamo di fronte a quasi 2 ore e 40 minuti di musica: splendida, raffinatissima
ma inesorabilmente complessa. Britten ammetteva che il libretto, rimasto
sostanzialmente in prosa anche dopo la revisione di Crozier, aveva decisamente
influenzato la composizione della stessa, portando a privilegiare le soluzioni
armoniche e di arrangiamento rispetto alla melodia. In realtà, non credo esista
un’altra opera dove testi e musiche siano così indissolubilmente integrati:
sottolinea il critico inglese Michael Kennedy, che di Britten fu anche amico
oltre che biografo: “mai, in un concerto, sentirete eseguire estratti musicali
dal Billy Budd, perché fuori dal contesto perderebbero qualunque forza e
significato”.
Il
punto è che allo spettatore del Billy Budd è richiesto una piccola
aggiunta di concentrazione, ma ne vale la pena: concentratevi sullo
straordinario libretto di Forster e Crozier (mai, come in questo caso, sia
benedetto l’inventore dei sovratitoli in proiezione) e vedrete che quasi senza
sforzo, sarete coinvolti nelle invenzioni musicali di Britten e quella che, ad
un ascolto superficiale poteva sembrare musica ostica, arriverà a toccarvi
sicuramente le corde dell’emozione e a coinvolgervi in uno spettacolo straordinario.
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