martedì 9 aprile 2013

Death in Venice, capolavoro del novecento

Nel 1999 il Teatro Carlo Felice di Genova si guadagnò il prestigioso Premio Abbiati per il miglior allestimento originale dell'anno con Morte a Venezia di Benjamin Britten, regia di Pier Luigi Pizzi, direttore Bruno Bartoletti.  L'opera del 1973 è considerata da molti il capolavoro del maestro inglese ed essendo anche la sua ultima fatica ne è anche un po' il testamento artistico. Quasi nulla è modificato del plot di Thomas Mann: in una Venezia lugubre e opprimente lo scrittore Ashenbach è costretto in una prigione dorata, l’Hotel des Bains, dal colera che è scoppiato in città. Qui divampa il dramma di una omosessualità non accettata, risvegliata dal bellissimo Tazio, nobile ragazzo polacco in vacanza con la famiglia. Va notato come, nella sua ultima opera, Britten riesce a mettere in scena un minore che è potenziale vittima del protagonista, come abirualmente nei suoi lavori, ma anche suo involontario carnefice. La morte a Venezia del titolo porrà fine al tormento dello scrittore. Musicalmente è il lavoro più maturo di Britten, contraddistinto da due grandi sviluppi di partitura; il primo, per le scene con Aschenbach a Venezia, dove una melopea per accordi, affidata soprattutto agli archi e ai legni, descrive una città malata sulla cui acqua stagnante nere gondole scivolano come feretri silenziosi. L’altro, per Tazio e le scene di spiaggia, fortemente caratterizzato da momenti ritmici, grazie all’uso del Gamelan, piccola orchestra Balinese basata sulle percussioni, che tratteggia l’esuberanza della gioventù che diventa poi provocazione insostenibile per chi, ormai vecchio, non ha più tempo e possibilità per assecondarne le passioni. Il finale (che di seguito vi propongo nell'allestimento del Liceu di Barcellona) sembra la sintesi di tutta l’opera e forse di tutta la vita di Benjamin Britten. Aschenbach è seduto in una sedia a sdraio sulla spiaggia del Lido e contempla da lontano Tazio che si allontana da solo sulla battigia. L’anziano non canta, ma i suoi pensieri sono illustrati solo dall’orchestra: una ritmata marcetta infantile progressivamente si deteriora, come se la contemplazione del ragazzo fosse turbata da pensieri tetri e lascivi. Poi l’arrivo della grande consolatrice, con un’orchestrazione a note lunghe, per accordi finalmente risolti, con gli archi sempre più esili e acuti a cui subentra l'ottavino che accompagna la breve agonia del protagonista fino a spegnersi nel silenzio.

Britten morì d’infarto la notte tra il 3 e il 4 dicembre 1976. Solo sei mesi prima la Regina Elisabetta lo aveva nominato pari di Inghilterra, Lord Britten di Aldeburgh. Al suo funerale il vescovo di Ipswich, Leslie Brown, che era anche suo amico personale, così terminava l’orazione funebre: “Tentare di descrivere la sua musica è come provare a catturare la luce del sole con un sacco di juta”.Perfetto.

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