giovedì 18 aprile 2013

Piccola storia del Melodramma - Capitolo III: Roma e Venezia

Abbiamo detto Roma e Venezia.

Roma 
A Roma nacque la cosiddetta scuola romana grazie a Emilio ‘de Cavalieri, membro della Camerata, e al mecenatismo della famiglia Barberini, che costruì nel giardino del proprio palazzo, un teatro in legno da 3000 posti, degno di una grande corte europea. All’atto pratico la scuola romana non viene ricordata per l’alta qualità della sua produzione né per i suoi musicisti, i cui nomi suonano alle nostre orecchie per lo più sconosciuti: Landi, Vittori, Luigi Rossi, Mazzocchi. Va invece segnalato che proprio a Roma vedono la luce i primi esempi di opera buffa, grazie ai libretti comici scritti dal Cardinal Rospigliosi, futuro papa Clemente IX.

Venezia 
Molto più fortunata fu la direzione “est”, con la cosiddetta scuola veneziana. 
La prima novità, da definirsi epocale per la storia dell’opera, accadde a Venezia nel 1637, cioé l’apertura del primo teatro pubblico: Il Teatro San Cassian. 
Fino ad allora gli spettacoli si allestivano su piattaforme erette nelle sale e nei cortili di conventi e palazzi. Costruito dalla famiglia Tron di San Benedetto, vicino a Rialto, il San Cassian passa alla storia per aver ospitato nel 1637 il primo spettacolo lirico a pagamento, cioè destinato a chiunque potesse pagare un biglietto d'ingresso e non a un pubblico selezionato per inviti. Nell'occasione l'opera rappresentata è l'Andromeda, su libretto di Benedetto Ferrari e musica di Francesco Manelli, che è anche a capo della compagnia teatrale, e che realizza l'impresa di allestire opere liriche per la prima volta fuori dal sistema produttivo delle corti, insomma, è nato il primo sovrintendente teatrale. 
Il teatro d’opera risulta subito un buon affare e, nel giro di un anno aprono ben due nuovi grandi teatri: il San Giovanni e Paolo, in veneziano Zanipolo, e il San Moisé. Entro la fine del secolo Venezia avrà 16 teatri funzionanti e saranno stati rappresentati 358 melodrammi inediti. La compagnia del Manelli passa presto al San Giovanni e Paolo. Il suo posto al San Cassian viene preso dalla compagnia di Francesco Cavalli, allievo di Monteverdi, che nel 1639 mette in scena Le nozze di Teti e Peleo su libretto di Orazio Persiani. L'opera lirica diventa una delle attrazioni principali della città. Già nel carnevale del 1640 veneziani e turisti possono scegliere cosa vedere in un cartellone di tutto rispetto: al Teatro dei Santi Giovanni e Paolo, Manelli mette in scena l'Adone, su libretto del veneziano Paolo Vendramin; al San Cassiano esordisce come librettista l'avvocato Gian Francesco Busenello, che appronta per Cavalli Gli amori di Apollo e Dafne; al San Moisé si ripropone l'Arianna, il testo di Ottavio Rinuccini che, come vedremo, Monteverdi aveva già messo in musica nel 1608 alla corte di Mantova.

Il teatro all'italiana
Ora dunque c’è un pubblico pagante e quindi più esigente di quello che fino ad ora ha assistito agli spettacoli del “circuito nobiliare e delle corti” che erano “ad invito” e quindi completamente gratuiti. 
Nasce, per queste mutate esigenze, con il San Moisé, anche “fisicamente” un nuovo tipo di edificio per l’Opera, che si chiamerà Teatro all’italiana. I pochi teatri “al chiuso” erano stati, fino ad allora a schema greco, cioè con una platea a conchiglia e gradoni su cui sedevano gli spettatori e con la scena in basso, come nel Palladiano Olimpico di Vicenza. Ora nasce il teatro a ferro di cavallo con platea al centro, buca dell’orchestra e palcoscenico rialzato; nascono i palchi e il loggione. Sul palcoscenico arriva la cosiddetta  “scena ductilis”, con le quinte girevoli e i fondali mobili a discesa per facilitare i cambi di scena e variare le ambientazioni. I nobili stanno nei palchi, anzi qualche palco è acquistato dalle famiglie addirittura prima che il teatro sia ultimato, come nelle odierne cooperative immobiliari. La platea, che oggi è il settore più ambito, è riservata alla borghesia e ai commercianti mentre il loggione è il settore più economico. I palchi hanno, generalmente, una sala attigua attrezzata per il gioco di carte e per mangiare; di fatto l’ineresse per l’opera è generalmente esaurito nella “prima”, le repliche vedono spesso le tende dei palchi addirittura tirate giù per tutto il tempo per aver più privacy per il gioco e le conversazioni.

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